La magistratura del lavoro di Palermo, in accoglimento della tesi dello Studio BCM, ha ritenuto non dovute le somme richieste dall’INPS a titolo di rimborso dell’indennità di mobilità corrisposta a un lavoratore, per effetto di un licenziamento poi dichiarato inefficace.
L’Istituto previdenziale contestava al ricorrente la non debenza della suddetta indennità sulla base del mero rilievo inerente la declaratoria di inefficacia del licenziamento e dell’ordine di reintegra pronunciato dal Giudice del Lavoro.
Senonché, il rapporto lavorativo non era stato ripristinato di fatto, anche a causa del fallimento della società datrice di lavoro, e il ricorrente era rimasto privo di occupazione, né aveva percepito le retribuzioni dovute dalla data del licenziamento, in forza della sentenza che ne disponeva la reintegrazione nel posto di lavoro.
Il Tribunale, andando in contrario avviso rispetto a precedenti pronunciamenti della Suprema Corte, ha accolto la tesi difensiva prospettata dalla Studio BCM, stabilendo che il presupposto per la ripetizione dell’indennità di mobilità – nei termini esposti dall’INPS – è costituito dall’effettivo ripristino del rapporto di lavoro, “atteso che, diversamente argomentando, si perverrebbe alla conseguenza di aggravare oltre misura la posizione del lavoratore, che non ha potuto riprendere l’attività né conseguire le retribuzioni”.