L’ordinanza n. 33526/2024 della Corte Suprema di Cassazione, sezione lavoro civile, affronta un caso che evidenzia importanti aspetti del diritto amministrativo e lavoristico, con particolare riferimento alla notifica delle ordinanze-ingiunzioni e ai termini previsti dalla legge per tale adempimento.
Il caso
A seguito di alcuni accertamenti da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro, nei quali emergeva che una lavoratrice era impiegata senza la regolare comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro.
L’organo ispettivo notificava al datore di lavoro una ordinanza-ingiunzione, che era opposta dal datore sul presupposto della sua tardività rispetto al termine di cui all’art. 14 della legge n. 689/1981.
Secondo il giudice di appello, l’ordinanza ingiunzione era da ritenersi tempestivamente notificata, in quanto il termine di legge decorre dal momento in cui l’amministrazione ha avuto piena conoscenza dell’illecito, momento
individuato nello specifico con la fine dell’attività istruttoria rilevante.
Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione il datore di lavoro.
Aspetti normativi e giurisprudenziali
La questione affrontata dalla Suprema Corte ruota attorno al termine di notificazione per la contestazione delle violazioni amministrative.
Secondo l’art. 14 della legge n. 689/1981, gli estremi della violazione devono essere notificati entro 90 giorni dalla conclusione dall’accertamento dell’illecito.
La Corte di Cassazione, richiamando precedenti giurisprudenziali (es. Cass. n. 20977/2024, Cass. n. 8326/2018, Cass. n. 6681/2014), sottolinea che il termine decorre dalla conclusione dell’attività istruttoria necessaria per accertare tutti gli elementi dell’infrazione.
Il giudice dell’opposizione deve infatti valutare il complesso degli accertamenti compiuti dall’Amministrazione procedente e la congruità del tempo impiegato, tenuto conto della loro complessità, senza che egli possa sindacare l’opportunità di atti istruttori collegati ad altri e posti in essere senza apprezzabile intervallo temporale.
In altre parole, l’attività di “accertamento” non si deve limitarsi alla percezione iniziale del fatto illecito, ma richiede una verifica approfondita e ponderata di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, utili per una corretta qualificazione della condotta.
La correttezza e completezza dell’accertamento rispondono sia all’interesse pubblico relativo alla funzione ispettiva svolta dall’Amministrazione sia all’interesse dello stesso autore della condotta, al fine di un’adeguata valutazione della sua (eventuale) responsabilità.
La decisione
Nel caso specifico, l’attività istruttoria degli ispettori si è svolta tra il primo accesso, avvenuto nel settembre 2011, e l’ascolto degli informatori, concluso nel mese di ottobre 2014. L’ordinanza ingiunzione è stata poi notificata a giugno 2015.
La Corte ha ritenuto che il tempo intercorso fosse giustificato dalla complessità degli accertamenti, sottolineando che il periodo non era stato trascorso inutilmente, ma utilizzato per acquisire tutte le informazioni necessarie alla valutazione complessiva della condotta.
La Corte ha quindi rigettato il ricorso del datore di lavoro, dichiarando inammissibili le censure sollevate, ribadendo che non spetta al giudice sostituirsi all’Amministrazione nella valutazione dell’opportunità di atti istruttori correlati.
Considerazioni conclusive
La pronuncia evidenzia il delicato bilanciamento tra le esigenze dell’Amministrazione di condurre indagini accurate e il diritto del soggetto sanzionato ad una rapida definizione della propria posizione.
La Corte ha ribadito che i tempi istruttori devono essere congrui e giustificati dalla complessità del caso, in linea con principi di ragionevolezza e buon andamento dell’azione amministrativa.