La Cassazione (sez. lav., ord. 08.07.2024, n. 18612) ribadisce che il tempo impiegato dagli operatori sanitari per le operazioni di vestizione/svestizione (“tempo tuta”) costituisce periodo da retribuire, perché il dipendente mette a disposizione le proprie energie lavorative.
Tempo tuta: premessa sui fatti
La Cassazione, sezione lavoro civile, si è occupata di un gruppo di infermieri, ausiliari specializzati e operatori sanitari di una ASL che hanno lamentato di non essere stati retribuiti per il tempo impiegato nelle operazioni di vestizione e svestizione della divisa da lavoro (“tempo tuta”), che andava invece considerato parte dell’orario di lavoro.
Sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano condannato l’ASL al pagamento dei minuti aggiuntivi, in entrata ed in uscita, necessari al “tempo tuta”.
I giudici avevano infatti accertato che i dipendenti erano obbligati dall’ASL ad indossare una divisa (da qui il “tempo tuta”), e che prima la indossavano e poi andavano a timbrare la presenza, per iniziare il loro turno di lavoro; e così, al termine dell’orario, prima timbravano l’uscita e poi si spogliavano.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’ASL, confermando la sentenza della Corte d’Appello.
Tempo tuta: normativa di riferimento.
La normativa sul “tempo tuta” può essere desunta da alcune disposizioni di carattere generale:
- l’art. 3 del R.D.L. 5 marzo 1923, n. 692, definisce il lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un’applicazione assidua e continuativa”,
- l’art. 1, comma 2 lett. a), del D.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, definisce l’orario di lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”;
- l’art. 27, coma 11 del CCNL del comparto Sanità, prevede l’obbligo di indossare le divise all’interno della sede di lavoro e con un tempo massimo di 10 minuti per tale attività, riconoscendo il “tempo tuta” espressamente quale “orario di lavoro”.
Tempo tuta: la giurisprudenza
La regolamentazione del “tempo tuta” è stata anche arricchita dalle numerose sentenza sull’argomento.
Ecco una sintesi delle sentenze richiamate nell’ordinanza:
- Cass. n. 19358/2010: ha stabilito che il tempo impiegato dal lavoratore per indossare la divisa deve essere considerato come orario di lavoro effettivo. La decisione sottolinea che tale tempo rientra nelle attività preparatorie necessarie per l’esecuzione delle mansioni lavorative, quindi deve essere retribuito;
- Cass. n. 9215/2012: ha affermato che il “tempo tuta” costituisce tempo di lavoro solo se qualificato da eterodirezione. In assenza del carattere non necessario né strettamente obbligatorio, questa attività rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà diritto a una retribuzione aggiuntiva;
- Cass. n. 1352/2016: ha ribadito che il tempo tuta non va retribuito nelle ipotesi in cui al lavoratore sia lasciata la possibilità di scegliere il tempo ed il luogo in cui porre in essere l’attività di vestizione/svestizione.
Queste sentenze evidenziano l’evoluzione giurisprudenziale in tema di riconoscimento e retribuzione del “tempo tuta”, sottolineando l’importanza della eterodirezione, che gioca un ruolo cruciale nel determinare se il “tempo tuta” debba essere considerato orario di lavoro retribuito oppure no.
Tempo tuta: la decisione della Cassazione
Come anticipato, la Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’ASL.
La Corte ha ribadito che il “tempo tuta” rientra nell’orario di lavoro e deve essere retribuito, anche se avviene prima della timbratura in entrata e dopo quella in uscita. Il “tempo tuta” è considerato un obbligo preparatorio alla prestazione lavorativa effettiva, imposto per ragioni di sicurezza e igiene, sia per il servizio pubblico sia per la protezione del personale.
Quanto alla ricorrenza della eterodirezione, la Corte ha affermato che il “tempo tuta” assolve alla necessità di indossare abiti specifici per motivi di sicurezza e igiene, quindi l’obbligo è imposto implicitamente.