Procedimento disciplinare e giudizio penale nel pubblico impiego

Pubblico impiego

18 Luglio 2024 StudioLegale
La Suprema Corte (sez. lavoro, sentenza del 16 luglio 2024, n. 19514) ha ulteriormente chiarito i rapporti tra il procedimento disciplinare e giudizio penale nel pubblico impiego, alla luce dell’art. 55-ter D.lgs. n. 165/2001.

Procedimento  disciplinare e giudizio penale: normativa

Il rapporto tra procedimento disciplinare e giudizio penale nel pubblico impiego è disciplinato dall’art. 55-ter del D.lgs. n. 165/2001 (Testo unico pubblico impiego), che evidenzia l’importanza del coordinamento tra i due procedimenti.

L’art. 55-ter  assicura che gli esiti del giudizio penale siano presi in considerazione nel procedimento disciplinare, sia per confermare che per modificare le decisioni iniziali.

L’art. 55-ter prevede che, nel pubblico impiego:

  • il procedimento disciplinare va proseguito e concluso anche in pendenza del giudizio penale. Nei casi complessi, è possibile sospendere il procedimento disciplinare fino alla conclusione del giudizio penale;
  • in caso di assoluzione del dipendente, il procedimento disciplinare si riapre su istanza di parte per modificare o confermare l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale;
  • in caso di condanna del dipendente, il procedimento disciplinare concluso con l’archiviazione si riapre per adeguare le valutazioni alle risultanze del giudizio penale.

La riapertura del procedimento disciplinare comporta il rinnovo della contestazione dell’addebito e tutti i termini procedurali ripartono dall’inizio.

Procedimento disciplinare e giudizio penale: la natura “unitaria” del procedimento

La giurisprudenza ha sottolineato la natura unitaria del procedimento disciplinare nel pubblico impiego.

  • Cass. Sez. lavoro, sentenza n. 36456/2022: nei casi di riapertura del procedimento disciplinare, il procedimento rimane unitario, ma articolato in due fasi, e si conclude solo con l’esito del giudizio penale;
  • Cass. Sez. lavoro, sentenza n. 37322/2022: non si tratta di una “riedizione del potere disciplinare”, poiché il procedimento disciplinare rimane unitario.

Secondo la Cassazione, nel pubblico impiego, se un’originaria sanzione disciplinare è impugnata e durante il corso del giudizio interviene una nuova sanzione basata sugli esiti del giudizio penale, il giudice può estendere la propria cognizione anche alla sanzione definitiva. Questo perché l’impugnazione riguarda un unico provvedimento disciplinare, anche se adottato in una procedura bifasica.

Una diversa interpretazione comporterebbe un effetto negativo sulle possibilità di difesa dell’incolpato, il quale sarebbe costretto, dopo aver impugnato il primo provvedimento, a proporre una nuova impugnazione contro il secondo provvedimento, che costituisce però solo una conferma o modifica del primo, senza basarsi su fatti nuovi.

Riassumendo: se il lavoratore ha impugnato la sanzione inflitta prima della riapertura del procedimento disciplinare, tale impugnazione si estende, se dedotto dal ricorrente, anche alla nuova sanzione irrogata dopo l’esito del giudizio penale, in quanto la prima ha natura provvisoria, atteso il carattere “unitario” del procedimento disciplinare.

Procedimento disciplinare e giudizio penale: l’art. 653 c.p.p.

L’art. 55-ter D.lgs. n. 165/2001 prevede l’applicazione dell’art. 653 c.p.p., per cui la sentenza penale irrevocabile, rispettivamente di condanna o di assoluzione, ha effetto di giudicato per quanto riguarda l’accertamento che il fatto sussiste o non sussiste, che costituisce o meno illecito penale e che l’imputato lo ha commesso oppure no.

La regola di cui all’art. 653 c.p.p. deve essere intesa nel senso che il giudicato penale di assoluzione non determina automaticamente l’archiviazione del procedimento disciplinare. La giurisprudenza ha chiarito che il giudizio penale non preclude una autonoma valutazione dei fatti in sede disciplinare, data la diversità dei presupposti (Cass. Sez. U., Sentenza n. 14344/2015).

Questo perché:

  • la formula assolutoria “perché il fatto non costituisce illecito penale” non implica che le condotte non abbiano rilevanza disciplinare; la sentenza penale deve avere escluso la materialità delle condotte e non la sola rilevanza penale delle stesse;
  • la formula di assoluzione “perché il fatto non sussiste” potrebbe non coprire tutti i fatti oggetto della contestazione; gli episodi oggetto della sentenza penale devono quindi integralmente coincidere con quelli che sono stati oggetto della originaria contestazione disciplinare.

La P.A. può quindi procedere disciplinarmente per fatti inidonei alla condanna penale, ma contenuti nella contestazione disciplinare originaria, nel rispetto del principio di immutabilità della contestazione (Cass. n. 11868 del 09/06/2016).

Riassumendo: il giudicato penale di assoluzione non determina automaticamente l’archiviazione del procedimento disciplinare e, anche nel caso di assoluzione perché il fatto penale non sussiste, la P.A. datrice di lavoro, nel rispetto del principio della immutabilità della contestazione, può sicuramente procedere disciplinarmente.